A prima vista potrebbe sembrare un film sentimentale con tocchi di moralismo e l’inevitabile lieto fine.
Il film è A proposito di Henry, di Mike Nichols.
Ma a una lettura più approfondita si può rivelare parabola di un processo che non esiterei a definire iniziatico.
Una iniziazione è un passaggio a uno stato di coscienza più ampio ed elevato, un passo decisivo nel cammino evolutivo di un essere umano. Una trasformazione profonda del nostro modo di di essere, che passa inevitabilmente attraverso un qualche tipo di morte.
Andiamo a vedere cosa succede a Henry.
All’inizio della storia lo troviamo avvocato di successo, con pochi scrupoli pur di vincere le sue cause, bella casa, bella moglie, amante segreta, sempre indaffarato, impaziente e di corsa. Non ascolta, non guarda, non ha tempo per la figlia undicenne con la quale non riesce ad avere un dialogo.
Non so se qualcosa di tutto questo ci tocca da vicino.
Durante un tentativo di rapina, un colpo alla testa lo lascia completamente senza memoria.
Inizia così un percorso di ripartenza come da zero. Annullato, smarrito e totalmente incapace, deve ri-imparare tutto : a camminare, a parlare, a leggere, a conoscere.
Un po’ adulto goffo e sempliciotto, un po’ bambino curioso e birichino, riscopre il mondo ma anche la moglie e la figlia che vede come per la prima volta.
Non si riconosce più nelle vecchie amicizie e nei loro “valori”, non gli piacciono più i suoi vestiti, è guidato da un bisogno di pulizia e di semplicità, si ferma a guardare i fiori e le stelle, compra un cagnolino per la sua bambina, sparge baci e abbracci.
Infine decide di lasciare lo studio legale in cui era stato riassunto per pietà, e tutta la famiglia si trasferisce in un appartamento più modesto e meno costoso.
Piano piano si rende conto della falsità della vita che conduceva prima, vedendo il suo ambiente di lavoro, i colleghi, il suo modo di operare come avvocato (che riscopre studiando le pratiche conservate negli archivi) come una grande recita guidata dall’avidità economica e dal bisogno di apparire. E non ci sta più a questo gioco.
Detta così, potrebbe sembrare una favoletta con la morale.
Ma la sensazione che ci lascia il finale del film non sa di morale, ma di felicità e di liberazione.
Liberazione da che?
Forse da quell’armatura che si era costruito attorno e che soffocava la sua vera natura, da quel dover essere o dover apparire (uomo di successo, sveglio, brillante, agiato, invidiato), da una vita divisa in settori, autoreferenziale, nevrotica e al fondo infelice.
Questa condizione in psicologia ha un nome, si chiama ego.
Non è una colpa.
La costruzione dell’ego è un processo scontato e forse necessario. E’ un modo per difendersi e per cercare compensazione per tutto quello che ci spettava e che non abbiamo ricevuto nei primi anni della nostra vita. E’ una strategia per reagire a ferite, paura, sofferenze e insicurezze, farsi accettare e cavarsela comunque. Ed è funzionale, almeno in un primo momento.
Ma ha un costo. Nella migliore delle ipotesi, lo scotto è una sensazione di sforzo e di pesantezza. Nella peggiore, ci si ammala. In molti casi una palese infelicità, percepita soprattutto nei momenti di pausa e di solitudine.
Felicità. In tutti noi c’è un bisogno struggente di felicità.
Non solo negli umani. Il Buddha diceva che tutti gli esseri desiderano essere felici e cercano la felicità.
L’ego ci fa cercare la felicità nei posti sbagliati. Sbagliati perché non ce la danno, anzi aumentano la pressione e lo scontento, spesso anche la disperazione.
Come se ne esce?
A volte non se ne esce affatto.
A volte, come nel caso di Henry, è la vita stessa che ci viene incontro attraverso un evento traumatico che costringe a cambiare.
Ma è proprio necessario ricevere una rivoltellata in testa per svegliarci e virare verso la liberazione e la felicità?
I cammini sapienziali ci dicono che è possibile intraprendere volontariamente un viaggio di liberazione dalla gabbia dell’ego seguendo percorsi tracciati da chi questo processo l’ha già sperimentato su di sé. L’accompagnamento di una guida competente è fortemente consigliato.
Perché? Perché in un caso o nell’altro, l’attraversamento di un qualche tipo di morte è parte ineludibile del processo. E’ un passaggio iniziatico. Accettare un vuoto dentro di noi, una fase di tabula rasa e di azzeramento, di dissoluzione e di sgomento.
E’ la dissoluzione dell’ego, e si soffre terribilmente perché l’ego resiste e non vuole morire. In quella fase non sappiamo più chi siamo, siamo in una terra di nessuno, si perdono tutti i punti di riferimento. E’ come il blackout degli astronauti. E’ il vuoto totale di memoria e di identità che attraversa Henry.
Che poi comincia a uscirne – perché se ne esce – timoroso e impacciato, ma con la curiosità e la freschezza di un bambino. Lo vediamo muoversi con sempre più agio e scioltezza, felice di respirare e di avere tempo per guardarsi intorno, con una disposizione benevola verso la vita in tutte le sue forme : animali, fiori, esseri umani.
E’ una trasformazione profonda, che lo lascia più spoglio e disarmato, più umile, ma più felice e capace di rendere felici quelli che lo circondano.
E se questa non fosse solo la parabola di un individuo ma dell’intera umanità in questo momento storico?
Con un’avvertenza però : che il lieto fine della storia di Henry non è così scontato e che il processo di liberazione dall’ego non avviene una volta per tutte ma richiede perizia, pazienza e un lavoro continuo. Infatti l’ego è come le teste dell’Idra che rispuntano appena Ercole le recide… Ma che cosa fa il nostro eroe? Dopo il taglio, usa il fuoco.
