Ciclicamente, un popolo, una parte del mondo, un gruppo o anche solo un individuo si fanno portatori e “manifestatori” di un male dell’umanità.
E’ come se per un misterioso atto sacrificale qualcuno si facesse carico di una carenza, di una incapacità che viene posta sotto una lente di ingrandimento in modo che attraverso lo choc che questo evento provoca – soprattutto oggi attraverso l’esposizione mediatica – si possa prendere coscienza di qualcosa di cui tutti, seppure in gradi diversi, siamo portatori. E cominciamo a interrogarci, a cercare soluzioni e forse ad apprendere qualche lezione.
I piromani inceneriscono boschi e pinete. Uomini bomba si fanno esplodere in mezzo alla folla. Un ragazzo muore colpito da un poliziotto dopo una rissa. Una donna rimane impigliata nelle porte del metro mentre il macchinista è distratto a mangiare. L’alluvione spazza via edifici e vite umane.
Allora ci si agita, si va in piazza a protestare, si condanna, si aprono inchieste, si fanno in fretta e furia nuove leggi.
Raramente ci si ferma a riflettere su di noi, su che cosa questi eventi rispecchino di noi stessi, come individui e come gruppo umano.
Prendiamo l’ “emergenza spazzatura”.
Quale può essere la lezione dei rifiuti?
A me pare che questa “emergenza rifiuti” che ricorrentemente affiora e mette in crisi, ci parli della nostra incapacità di gestire non solo le scorie materiali (di questo stanno parlando tutti), ma anche quelle psichiche. Della nostra poca dimestichezza, per esempio, con stati mentali che consideriamo negativi e di cui vogliamo liberarci al più presto: come la sofferenza, l’incertezza, la frustrazione, la tristezza, la noia, la paura, la rabbia. Oppure con situazioni difficili come fallimenti, errori, conflitti. Della nostra incompetenza nell’analizzare questi stati e questi eventi, per vedere quanto c’è di utilizzabile (per conoscerci meglio, per la nostra crescita interiore, per produrre pensiero, poesia, arte, condivisione…) e quanto di questa materia prima possa, quindi, essere estratto e trasformato. Ci siamo costruiti delle sane discariche per le nostre emozioni disturbanti? O le scarichiamo fuori dalla nostra porta, sul primo malcapitato passante? Abbiamo delle strutture per trasformarle in fertilizzanti e in energie alternative? O le lasciamo accumulare a casaccio, fino a esserne sopraffatti, a volte fino ad esplodere, con effetti distruttivi su noi stessi e sugli altri? Sentiamo ad esempio cosa dice Gandhi, nella sua autobiografia, a proposito della rabbia:
“Ho imparato la lezione suprema di non sopprimere la mia rabbia, ma di conservarla e come il calore conservato si tramuta in energia così la rabbia conservata e controllata si tramuta in un potere che può cambiare il mondo”.
Può darsi che per diventare abili nella trasformazione delle energie fisiche occorra iniziare imparando a trasformare le energie emotive e mentali.
Che ne direste di avviare riflessioni simili anche su altri eventi specchio come quelli prima
elencati ?
Di che cosa potrebbero essere il “correlativo oggettivo” gli incendi dolosi, le “morti bianche”, l’emergenza migranti, gli uomini bomba, le risse dei tifosi, le alluvioni….?