Di fronte allo sconvolgimento delle nostre vite causato dall’emergenza Covid-19, anche il modo di lasciare questa vita sta subendo un cambiamento traumatico, che ci angoscia e ci sconcerta.

E` uno degli aspetti di questa situazione che più mi affligge.

Il pensiero di chi muore lontano dai propri affetti, senza nemmeno il conforto di un volto compassionevole che si china su di loro e del tocco caldo di una mano – visto che tutto il personale indossa guanti e mascherine ed evita giustamente qualsiasi occasione non necessaria di contatto coi malati. Senza il conforto di un abbraccio. Sappiamo quanto sia importante per i morenti il contatto corporeo, più delle parole, più del nutrimento.

Ma c’è un’altra assenza altrettanto dolorosa.

La mancanza di un accompagnamento spirituale.
Non necessariamente “religioso”.

Insieme alla nascita, la morte è una delle due sacre porte della vita.
E` un processo altrettanto delicato e misterioso.

Ho spesso sentito dire che ci vorrebbero levatrici anche per i morenti.

Chi potrebbero essere queste levatrici?
Un sacerdote, una monaca, uno psicologo, o chiunque sia preparato per questo tipo di assistenza.

Aiutare il morente a parlare delle sue paure (per qualche minuto la maschera dell’ossigeno si può togliere), a ricevere una parola illuminante, a vedere il senso che ha avuto la sua vita, riconciliarsi, perdonarsi e perdonare, chiudere faccende in sospeso anche con l’aiuto di questa o di questo assistente, pregare insieme.

Stare insieme in silenzio.

Figure di grande spessore in grado di fornire questo tipo di servizio aiutano con la loro sola presenza, anche se il morente non fosse in grado di comunicare verbalmente.

E anche dopo il decesso.
In tutte le culture i riti per i defunti, le veglie funebri, il culto dei morti sono una costante antropologica.
Ci sarà un motivo?
Bastano pochi segni. Una benedizione, una preghiera, una poesia, un ringraziamento –  nel rispetto della visione del mondo del defunto.

Accanto a medici, infermieri, catene di produzione e distribuzione alimentare, forze dell’ordine, addetti ai trasporti – ai quali va la mia più profonda gratitudine – io credo che anche alle “levatrici” dei morenti dovrebbe essere consentito di svolgere il loro lavoro. Con le dovute precauzioni, come per tutte le altre categorie attive in questo momento.

Non voglio dire che non ci siano alcuni medici e infermieri abbastanza sensibili da potersi prendere cura anche di questi aspetti più sottili, ma il loro è un altro compito. Anche se volessero, non ce la possono fare, sopraffatti come sono dalle necessità incalzanti della cura dei corpi.

L’appello a medici e infermieri volontari ha avuto una risposta sbalorditiva.
Il fatto che non si pensi a lanciare una chiamata altrettanto vibrante anche a psicologi, counselor e assistenti spirituali la dice lunga sulla visuale di chi ci governa e sul materialismo della nostra cultura.

Sono certa che se gli si permettesse di accedere a ospedali, residenze per anziani o case dove vivono anziani soli risponderebbero con altrettanta generosità.

E se lo chiedessero loro stessi?

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