Rispondendo a Domenico Quirico

In questo grande flusso di cambiamenti a cui ci costringe il Corona Virus forse dovremo cambiare anche la nostra cultura della morte.
Canti, danze e arcobaleni sono perfettamente adatti ad accompagnare chi lascia questa vita.
Vita non tollitur sed mutatur.
(La vita non è tolta ma trasformata).
Ho assistito a cremazioni in India che erano festose, con suoni di cimbali e di tamburelli, abiti colorati, canti e danze.
Nel suo famoso libro E venne chiamata due cuori Marlo Morgan dice che la vera gente – ossia gli aborigeni australiani – non crede che la funzione precipua della voce si quella di parlare… la voce è fatta per cantare celebrare e guarire.
Il canto è l’espressione che più ci avvicina alle sfere superiori – cielo, divino, universo chiamiamolo come vogliamo. Infatti cantare ci connette all’infinita e complessa rete di vibrazioni e risonanze, considerate alla base della struttura dell’universo.
Anche da noi in passato si cantava nelle veglie per i defunti, come si canta durante i funerali. Ora che i funerali non si possono fare cantiamo dai balconi. E non stiamo a sindacare che cosa cantiamo. Credo che nessuno canti dai balconi canzoni sconce o canti da osteria.
Conosco diverse persone che hanno lasciato detto o scritto che al loro funerale vogliono canti gioiosi che celebrino la vita. E ho partecipato a funerali in cui così è stato.
Ciò non toglie il dolore. Ma i saggi ci dicono che il dolore può convivere con la gioia e con l’affermazione della vita.